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L ANTIGRUPPO SICILIANO TRA STORIA E RIFLESSIONI 59 per la difesa dei valori della democrazia di classe e della libertà (sul piano di scelte linguistiche e poetiche), e capace di mediare la particolarità poetica con il discorso comunicativo. Lo sconvolgimento, più di quanto lo giustificasse il fatto di essere testi di comunicazione poetica o di scarto rispetto alla lingua onnitestuale di base, non doveva essere tale da inficiare o annullare la comunicazione dei contenuti e dei valori alternativi per la crescita della coscientizzazione antagonista, e di classe delle masse. Il Gruppo 63, considerato chiuso nella sola ricerca di esasperazione formale dell attività poetico-letteraria, era perciò stesso ritenuto incapace e responsabile di un mancato impegno dei poeti e degli intellettuali di quell appartenenza a interagire con le masse lavoratrici per una salto di qualità socialista della vita. I loro giochi linguistici di piccolo-borghesi aristocratici erano, infatti, ai limiti del delirio logico e sintattico e della stessa frantumazione morfologico-lessicale, e tali che non avrebbero consentito né coscienza né prassi rivoluzionaria. Non potevano comunicare con nessun soggetto per costruire quel noi sociale nuovo, liberato e libero, e l alternativa all individualismo borghese prevista dalla scienza del pensiero comunista, dall utopia e dalla contestazione della nuova generazione. I nuovi soggetti, nati dalla demistificazione, cercavano nuovi linguaggi, adeguati al proprio futuro, oltre i possibili affossamenti o resistenze delle ideologie cristallizzate, ma non aspiravano ad uscire dalla storia desemantizzata per buttarsi fra le braccia della metafisica o di un ontologia disincarnata. Sul versante della poetica , Nicola Di Maio (di Castelvetrano), riferendosi al Gruppo 63, scriveva che Quando una letteratura decide volontariamente di suicidarsi , nel senso che taglia i ponti col reale affermando una sua aristocratica auto-sufficienza o, che è lo stesso, la sua sostanziale incapacità ed incompetenza ( neutralità ) ad agire sul piano della prassi e sceglie, equivocamente, di muoversi nell ambito di una ontologia della separatezza chiaramente emergente dal rifiuto dell ideologia come momento di mediazione critica e, ovviamente, conoscitivo ma nel senso lukacsiano della dialettica di fenomeno-essenza del mondo, dalla sua carcassa in avanzato stato di decomposizione, inevitabilmente, affiora il vuoto, l ambiguità e il silenzio la complicità . La crisi dei contenuti, infatti che di questo, in fin dei conti, si tratta ripropone un operazione culturale ambigua e priva di connotazioni precise che trova ragioni di stentata sopravvivenza in un formalismo astratto e colpevole nella misura in cui, volutamente, rifiuta di caricarsi di una tensione dialettica che è già, in sè, coscienza autocritica del mondo e, in ultima analisi, assunzione di responsabilità. Questa letteratura della irresponsabilità e della fuga, se da un lato rimanda ai meccanismi tipici degli stati nevrotici (elusione, sublimazione, ecc.) e, in genere, delle insicurezze ontologiche (nella accezione del Laing), dall altro lato, nel momento in cui rifiuta, appunto, un approach con il mondo e con le cose e pronuncia la sua orgogliosa e distaccata epochè, scopre la sua sotterranea radice aristocratico-romantica in cui perfettamente si innesta il solipsistico monologo mistificante dello scrittore-talpa (inutile) e il suo degradante universo masturbatorio di inconsistenze quotidiane1 .

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