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TB 05.2016-short

6 | Ticino Business E D I T O R I A L E Swissness + franco forte = futuro incerto “A malincuore dobbiamo rinunciare ad uti- lizzare la croce svizzera su alcuni nostri prodotti”. Affermazione che emana non da qualche azienda contraffattrice della remota Cina (con tutto il rispetto) o da qualche sospetta impresa europea pizzicata a fregiarsi degli emblemi svizzeri grazie a strane triangolazioni. No, l’amara afferma- zione è della storica azienda svizzera Kambly, nota da generazioni per la produzione di biscotti, fra cui an- che quelli mitici dell’esercito elvetico. Società con sede nella ridente Trubschachen (Canton Berna, regione dell’Emmental), che impiega un gran numero di per- sonale locale, spesso fedele alla causa per generazioni intere. Ebbene questo simbolo elvetico rinuncia alla croce svizzera perché le regole introdotte dalla nuo- va legislazione “Swissness”, in vigore dal 1° gennaio 2017, sono troppo restrittive e quindi punitive. Un vero capolavoro politico-amministrativo, mal- grado gli avvertimenti giunti anche dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere. Il caso della Kambly non è infatti isolato, ma riguarda altri pro- duttori di derrate alimentari, obbligati a garantire sistematicamente che l’80% delle materie prime (e il latte deve essere al 100% di produzione svizzera) siano elvetiche per tutti i prodotti. Senza questo ele- mento, niente passaporto rossocrociato. “Il meglio è il nemico mortale del buono” recita un celebre ada- gio e qui ne abbiamo una dimostrazione. Durante i dibattiti parlamentari il progetto Swissness era stato presentato come lo strumen- to per creare impieghi in Svizzera e che le imprese avrebbero avuto tutto l’interesse ad adeguarsi per vendere i loro prodotti più cari. Vantaggi per tut- ti, aziende, dipendenti e consumatori, che avrebbero avuto a disposizione prodotti di migliore qualità. La realtà è ben diversa. Probabilmente, colmo dei para- dossi, Toblerone non potrà più fregiarsi del marchio svizzero, così come la Knorr. Nota bene, per prodotti fabbricati in Svizzera. Le aziende dovranno pertan- to basarsi maggiormente sulla (spesso vituperata) valorizzazione del marchio commerciale, piuttosto che sul prestigioso “Made in Switzerland” e quin- di sull’origine del prodotto. Certo, è una tendenza mondiale, perché nessuno sembra essere infastidito dal fatto che i prodotti di Apple siano fabbricati in Cina, con la finezza del “Designed in the USA”, ma allora bisognerebbe avere il coraggio di dire che lo “Swiss Made” non serve più a nulla invece di creare un mostro burocratico dagli effetti perversi. Liberi tutti, ognuno se la gioca con il proprio marchio sul mercato e non se ne parli più. Paradossalmente, per rafforzare le aziende svizze- re nei confronti di quelle estere, il risultato è che lo “Swiss Made” lo potranno usare in pochi, secondo criteri che sembrano più attinenti ai giochi d’azzar- do che non alle dinamiche del mercato. Come giocare al Lotto svizzero, insomma. Swissness e franco forte costituiscono quindi un connubio dagli effetti poco incoraggianti. Varie imprese in Svizzera hanno di- sposto licenziamenti e trasferimenti e non sono solo aziende dal tanto deprecato basso valore aggiunto o di filibustieri stranieri, ma storiche alla stregua della già menzionata Kambly. Come la Cornu Holding, in- sediata a Morat dal 1939 e che trasferirà in Romania una parte della produzione dei suoi biscotti, a causa dei costi di produzione svizzeri. Certo, i preparatis- simi teorici sottolineeranno che si tratta di normali adattamenti della realtà economica. In parte può es- sere vero, ma allora la politica dovrebbe facilitare e non ostacolare le imprese svizzere. I mix di ideologia, burocrazia e superficialità possono essere letali. di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

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